La termodinamica: dal macroscopico al microscopico

 

Fatti rilevanti ed altri indizi

1. Una possibile ricostruzione dei fatti

Ovvero, quello che di solito si racconta nei corsi di fisica, quando si parla della nascita della fisica moderna...

Radiazione di corpo nero
Una cavità, le cui pareti sono ad una temperatura costante T e che abbia un forellino da cui possa entrare o uscire radiazione elettromagnetica, costituisce quello che i fisici chiamano un "corpo nero". Il termine deriva dal fatto che la radiazione che entra nella cavità passando dal foro ha una probabilità trascurabile di uscirne, così che il foro stesso si comporta come una superficie perfettamente assorbente (e infatti appare nero a chi lo guarda dall'esterno). Ad una data temperatura T le pareti della cavità assorbono ed emettono radiazione elettromagnetica; all'equilibrio questa riempirà la cavità, e ad essa sarà associata una certa densità di energia. Ora, i fisici della fine dell'800 sapevano che la radiazione emessa dal foro (il potere emissivo) in queste condizioni è esprimibile in termini della densità di energia della radiazione nella cavità ed è una funzione universale della temperatura, nel senso che non dipende dal tipo di cavità usata. La predizione di questa funzione universale era uno dei problemi principali che la fisica classica non era in grado di risolvere.

Il campo elettro-magnetico nella cavità segue le leggi di Maxwell. E' rappresentabile da un insieme di oscillatori. Il numero di oscillatori di frequenza assegnata e per unità di volume può essere calcolato. Basta assumere che gli oscillatori che contribuiscono all'energia nella cavità, in condizioni di equilibrio termico con le pareti a temperatura T, siano i modi normali della cavità stessa, cioè quelli tali da sommarsi in fase nelle riflessioni con le pareti. La densità di modi normali così calcolata può essere moltiplicata per l'energia media di ciascun oscillatore. La meccanica statistica classica fornisce il risultato: ogni oscillatore ha un'energia media pari a kT, dove k è la costante di Boltzmann (principio di equipartizione). In questo modo si ottiene la legge di Rayleigh-Jeans, secondo cui la densità di energia della radiazione è proporzionale a kT e al quadrato della frequenza. Questa legge non è compatibile con la curva sperimentale. E' buona solo a basse frequenze, mentre ad alte frequenze predice una densià di energia che diverge all'infinito, mentre quella osservata tende esponenzialmente a zero.

Nel 1900 Planck propose una formula empirica che riproduceva i dati sperimentali, al prezzo di introdurre una nuova costante universale h. Si accorse poi che la stessa formula poteva essere ottenuta utilizzando le leggi statistiche per il calcolo dell'entropia degli oscillatori e aggiungendo l'ipotesi che i valori di energia ammessi da ciascun oscillatore non costituissero un continuo, da zero ad infinito, ma un insieme discreto di "quanti", ciascun "quanto" essendo il prodotto della frequenza per una costante universale h, poi chiamata costante di Planck. Questa ipotesi era ingiustificata da un punto di vista classico, ma dava predizioni in ottimo accordo con gli esperimenti. Si poneva quindi il problema di inquadrare la quantizzazione dell'energia in un contesto di leggi nuove.

Effetto fotoelettrico
Si tratta di un altro fenomeno per il quale la predizione classica è incompatibile con le osservazioni.
Una superficie irraggiata da luce emette elettroni. Con un opportuno apparato si può misurare la corrente prodotta da tali elettroni in funzione della frequenza e dell'intensità della luce. Le misure sono incompatibili con la visione classica di un'onda elettromagnetica che deposita energia sulla superficie fino a fornire agli elettroni energia sufficiente a liberarli nel vuoto. Einstein, partendo dall'idea di Planck sulla quantizzazione dell'energia del campo elettromagnetico, ipotizzò che il processo di emissione avvenisse tramite urti tra singoli "quanti" di radiazione e singoli elettroni. Si spiega così: 1) il fatto che il processo di emissione è istantaneo (non occorre un tempo di "accumulazione dell'energia sulla superficie", basta che un singolo quanto arrivi su un elettrone); 2) il fatto che esiste una frequenza di soglia al di sotto della quale gli elettroni non vengono emessi (quando l'energia del quanto di radiazione, proporzionale alla frequenza, è minore del potenziale di estrazione, che dipende dal tipo di superficie); 3) il fatto che l'energia con cui vengono emessi gli elettroni non dipenda dall'intensità ma solo dalla sua frequenza (essendo questa energia pari alla differenza tra l'energia del quanto di radiazione e il lavoro di estrazione); 4) il fatto che la corrente indotta nel circuito è proporzionale all'intensità della luce (a maggior numero di "quanti" incidenti corrisponde maggior numero di elettroni emessi). Sulla base del modello di Einstein si può misurare la costante di Planck usando l'energia degli elettroni emessi in funzione della frequenza della luce. Ulteriori misure confermarono questa ipotesi.

Da un punto di vista concettuale il passaggio dalla legge di Planck per il corpo nero all'ipotesi di Einstein sull'effetto fotoelettrico, equivale a considerare l'esistenza di quanti di energia come una proprietà intrinseca della radiazione e non un accidente associato puramente all'emissione e assorbimento di radiazione da parte degli atomi. Nella visione di Einstein (sfruttando la teoria della relatività speciale, appena formulata indipendentemente) il quanto di energia del campo elettromagnetico si configura come una possibile particella di massa a riposo nulla, essendo E=cp la relazione tra energia e momento. Si tratterà poi di rendere questa rappresentazione corpuscolare della luce compatibile con quella ondulatoria, quest'ultima essendo valida per altri fenomeni. Nasce così un problema relativo al "dualismo onda-particella".

Calore specifico dei solidi
Un'altro problema aperto all'inizio del '900 era quello del calore specifico dei solidi. Da un punto di vista classico l'energia interna di un solido può essere vista come l'energia associata a 3N oscillatori, corrispondenti ai gradi di libertà di vibrazione degli atomi attorno alle posizioni di equilibrio nei siti reticolari. Il principio di equipartizione fissa in kT l'energia media per ciascun oscillatore. Questo significa un'energia interna pari a 3NkT e un calore specifico costante pari a 3Nk. Le misure effettuate su diversi solidi e in funzione di T mostrano invece che il calore specifico raggiunge 3Nk solo a temperature maggiori di una certa temperatura tipica, dipendente dal tipo di solido considerato, mentre al di sotto di questa il suo valore è minore della predizione classica, tendendo a zero nel limite T=0. Einstein (nella foto assieme a Bohr) propose di trattare le vibrazioni degli atomi come oscillatori soggetti alla stessa regola di quantizzazione dell'energia della radiazione nel corpo nero. L'energia media di ciascun oscillatore è minore di kT secondo la formula di Planck. Non potendo fare un calcolo esatto della densità di oscillatori (dato che occorrerebbe un modello dettagliato del solido), Einstein fece la semplice ipotesi che tutti gli atomi vibrassero indipendentemente con la stessa frequenza. In questo caso, l'energia interna del solido è semplicemente 3N volte l'energia media di un oscillatore, ciascuno di essi avendo energia quantizzata. In questo modo Einstein trovò un calore specifico che ha il limite corretto classico ad alte T e che tende a zero esponenzialmente a basse T.

Dal punto di vista concettuale, l'innovazione maggiore in questo caso sta nell'aver esteso l'idea di quantizzazione dell'energia anche al moto di particelle con massa (atomi e molecole). Quindi la quantizzazione non è propria soltanto del campo elettromagnetico!!

Spettri atomici e modello di Bohr

Alla fine dell'800 si stavano compiendo esperimenti importanti riguardanti la struttura della materia (raggi catodici, raggi canale, radioattività, diffusione di elettroni, diffusione di raggi alpha...). Ne emergeva un'idea "atomica" della materia, con gli atomi costituiti da un nucleo positivo di dimensioni piccolissime, circondato da elettroni che si muovono entro una regione di raggio dell'ordine di 10^(-10) m.

I primi modelli di atomo si confrontavano con due problemi principali:

  • La stabilità degli atomi. Gli elettroni che si muovono su orbite classiche attorno al nucleo positivo dovrebbero emettere radiazione elettromagnetica, essendo soggetti ad accelerazione, e quindi perdere energia fino a cadere nel nucleo.
  • Lo spettro a righe. Gli elettroni dovrebbero essere in grado di emettere e assorbire onde e.m. a qualsiasi frequenza, modificando le loro orbite. Invece, gli spettri osservati presentano righe discrete. La struttura delle righe nello spettro è particolarmente semplice nel caso dell'idrogeno, dove è facile individuare delle "serie spettrali" caratterizzate da leggi empiriche semplici, la cui natura è incomprensibile dal punto di vista della fisica classica.

Nel 1913 Bohr propone un modello per l'atomo di idrogeno basato su due ipotesi principali:

  • Gli elettroni non possono muoversi su orbite qualsiasi, ma stanno solo su orbite circolari "stazionarie" individuate dalla condizione che il momento angolare dell'elettrone sia un multiplo intero della costante di Planck divisa per 2 pigreco. Su queste orbite gli elettroni non emettono radiazione e.m.
  • L'emissione e l'assorbimento di radiazione e.m. è possibile solo tramite transizione di un elettrone da un'orbita stazionaria ad un'altra; in questo caso, l'assorbimento o l'emissione avviene per quanti di energia, in modo che la frequenza della radiazione emessa o assorbita è fissata dalla differenza di energia tra i due livelli fra cui l'elettrone transisce.
Con queste ipotesi si spiega lo spettro a righe osservato per gli atomi di idrogeno (serie di Lyman, di Balmer, di Paschen, ecc., oltre al valore della costante di Rydberg). Si tratta di ipotesi incompatibili con la fisica classica, che riprendono l'idea della quantizzazione: non più solo oscillatori armonici però, e non solo dell'energia! Dagli sviluppi ulteriori del modello di Bohr (vecchia teoria dei quanti) nascerà poi la meccanica quantistica vera e propria.

Relatività speciale e generale
A completare il quadro delle innovazioni di inizio '900 c'è poi la relatività di Einstein. Della relatività qui non parliamo in dettaglio, sia perché, a differenza dei temi appena esposti, è alquanto slegata dalla termodinamica, sia perché essa era argomento degli incontri tenuti l'anno scorso in questa stessa sede. Qui ci limitiamo a notare che, malgrado quel che si è portati a credere, l'impatto della relatività einsteiniana nella fisica degli inizi del '900 non è stato affatto immediato. La teoria non aveva creato lacerazioni evidenti (non nella fisica almeno) e i fisici si abituarono un po' alla volta ad accettarla, aspettando qualche anno prima di avere verifiche sperimentali. Valga a titolo di esempio l'atteggiamento di Planck, espresso in un saggio del 1925 (E. Planck, A Survay of Physical Theory, Dover Publ., 1993): "[...] Ma quei fisici sperimentali che hanno la loro mente libera da pregiudizi non si oppongono per nulla alla teoria della relatività. Al momento, essi lasciano che le cose procedano quietamente e rimangono in attesa di risultati che possano dimostrarne sperimentalmente la validità."

 

2. L'arma del delitto

Secondo la riscostruzione appena proposta, ma anche molte altre, il punto di svolta tra fisica classica e fisica moderna è individuabile nello studio della radiazione di corpo nero. In estrema sintesi, si dice che la fisica classica era incapace di predire il comportamento osservato della radiazione di corpo nero, dato che il suo massimo risultato era la legge di Rayleigh-Jeans. A partire dal fallimento di quest'ultima, Planck introdusse nuove ipotesi, arrivando così alla formula giusta. L'ipotesi centrale era la quantizzazione dell'energia. In pratica, Planck usò uno spettro discreto di energie anziché continuo, e ciò bastava per dare predizioni in accordo con gli esperimenti. Su questa idea si innestarono poi le idee di Einstein (effetto fotoelettrico e calori specifici) e gli sviluppi successivi della fisica quantistica.

Dunque, la principale arma del delitto compiuto ai danni della fisica classica, è la formula di Planck per la radiazione di corpo nero.

 

3. Gli indizi dimenticati

Ci sono però varie cose che non tornano:

  • La formula di Planck non ha fatto alcun clamore, né nell'anno della sua pubblicazione, il 1900, né in vari anni successivi. Ora, se la misura dell'emissione di corpo nero è l'esperimento cruciale che permette la falsificazione della vecchia teoria e la nascita di una nuova teoria, ebbene, ci aspetteremmo che la comunità dei fisici si rendesse conto rapidamente di questo evento. C'è il delitto e c'è pure l'arma! Dato che questo non è avvenuto, sarà opportuno ricercarme le ragioni. Una di queste sta nel fatto che il dibattito principale non era attorno al corpo nero, ma era spostato altrove: c'erano fenomeni ritenuti più importanti e intriganti, come le scoperte sui raggi catodici, sui raggi X e sulla radioattività, e già questi davano grattacapi terribili. I lavori di Planck sul corpo nero (ne aveva già scritti 6 in soli tre anni, prima di quello sulla discretizzazione dell'energia) non erano dunque al centro della ribalta. A prova di ciò basti dire che Henri Poincaré, uno dei più illustri fisici-matematici dell'epoca, scrisse due libri fondamentali tra il 1902 e il 1905, "La Science et l'Hypothèse", "La Valeur de la Science", fornendo un'ampia panoramica sui problemi della scienza in generale e della fisica in particolare, senza citare mai il problema della radiazione di corpo nero e il nome di Planck. Fino al 1905, se anche qualcuno notò il lavoro di Planck, lo fece senza accorgersi che conteneva ipotesi in netto contrasto con le teorie classiche. E se non bastasse, lo stesso Planck non sembrò dare importanza alle conseguenze del suo lavoro e non scrisse null'altro sull'argomento almeno fino al 1906. Rimase convinto, finché gli eventi non lo convinsero del contrario, che la discretizzazione dell'energia fosse una specie di artificio matematico, per nulla legato al comportamento reale dei processi di assorbimento ed emissione di radiazione da parte della materia. Per questo motivo non interpretava il suo lavoro come una rottura con la fisica classica. Cominciò a pensarlo solo dal 1908, sostenuto dal lavoro di H. Lorentz. Prima di allora, fu Einstein nel 1905 a scrivere il lavoro sull'effetto fotoelettrico in cui riconosceva esplicitamente l'importanza delle nuove ipotesi di Planck sulla quantizzazione dell'energia.

  • La legge di Rayleigh-Jeans non è antecedente a quella di Planck. Prima di Planck la fisica classica non aveva alcuna risposta al problema del corpo nero, almeno non in termini di modelli microscopici. Lord Rayleigh discusse la questione del corpo nero in un breve articolo del 1900, in cui esponeva alcune idee in forma alquanto dubitativa, riferendosi ai problemi che si incontrano applicando l'equipartizione dell'energia, nello spirito di Maxwell-Boltzmann, ad un insieme di oscillatori. A quell'epoca, come già detto sopra, Planck aveva scritto ben 6 lavori sulla radiazione del corpo nero, dal 1897 al 1900. La differenza tra i due non è certo nel fatto che l'uno arriva ad una predizione "sbagliata" e l'altro a quella "giusta" (il problema era aperto, e non era evidente chi avesse ragione). Piuttosto, si può dire che Lord Rayleigh partiva da un atteggiamento positivo rispetto alle teorie boltzmanniane, ma riconosceva che queste avevano serie difficoltà (e infatti, il suo lavoro sul corpo nero era motivato da una critica di Kelvin alla teoria di Maxwell-Boltzmann, di cui parleremo dopo). Al contrario, Planck partiva da un atteggiamento ostile nei confronti delle teorie di Boltzmann, per poi abbracciarle in pieno, quasi forzato dai risultati interessanti a cui queste lo portavano a dispetto degli sforzi fatti per procedere in altro modo. Entrambi mostravano dove si potesse arrivare con le teorie di Boltzmann, ma l'uso di queste non era affatto assodato. Dire che la fisica classica arrivava solo a Rayleigh-Jeans, mentre Planck spinse la teoria oltre la soglia della fisica moderna, è dunque una forzatura. Lo è se si considera la reale scansione dei tempi, tanto più che la formula di Rayleigh-Jeans non era contenuta nell'articolo di Lord Rayleigh del 1900, ma in un successivo articolo, scritto assieme a Jeans, nel 1905. Ma soprattutto, lo è perchè la maggior parte dei fisici "classici" dell'epoca trovavano assai criticabili sia l'approccio di Rayleigh-Jeans, basato su un principio di equipartizione di cui ci si fidava poco, sia quello di Planck, basato su leggi statistiche altrettanto sospette. Nemmeno Planck riteneva corretto dedurre predizioni dal principio di equipartizione, e per questo motivo egli stesso ignorò il risultato di Rayleigh-Jeans.

  • La discretizzazione introdotta da Planck non era nuova. La usava spesso Boltzmann nei suoi calcoli di meccanica statistica, come metodo efficace per semplificare i calcoli. Planck la usò più o meno nello stesso spirito. A supporto di questo argomento citiamo un passaggio di Cercignani (C. Cercignani, Ludwig Boltzmann e la Meccanica Statistica, 1997) a proposito di un lavoro di Boltzmann del 1872 sulla teoria cinetica dei gas: "[...] Il lavoro prosegue con una derivazione alternativa basata su un modello a energie discrete, in modo che l'equazione integro-differenziale per la funzione di distribuzione diventa un sistema di equazioni differenziali ordinarie. L'uso di energie discrete è sempre sembrato a Boltzmann molto più chiaro e intuitivo. [...] Molti storici della scienza hanno sottolineato il fatto che questi modelli discreti di Boltzmann guidarono Planck alla scoperta dei quanti di energia, come Planck stesso riconobbe." Dunque, se la formula di Planck fu l'arma del delitto, si intravede qui un possibile motivo per cui il delitto stesso non fu riconosciuto: Planck non aveva inventato la discretizzazione dell'energia, si era "solo" accorto che tale discretizzazione, se si voleva riprodurre l'andamento corretto dell'emissione di corpo nero, non poteva essere eliminata a posteriori con un passaggio al limite, mandando a zero il "quanto di energia", ma al contrario bisognava fissare tale "quanto" alla frequenza della radiazione. Coloro che, all'epoca, si sono limitati a leggere la prima parte di questo schema (la discretizzazione), non hanno visto nulla di veramente nuovo. Pochi hanno capito invece le implicazioni della seconda parte (l'impossibilità di passare dal discreto al continuo). Nemmeno Planck riuscì a trarre da tali implicazioni gli elementi per formulare una nuova teoria. E con questo abbiamo spuntato l'arma, e abbiamo trovato nuovi indizi che portano a Boltzmann.

  • La vera novità nel calcolo di Planck è il fatto di essersi concentrato sull'entropia e di averla calcolata seguendo il metodo statistico di Boltzmann. Planck si era convinto che i metodi di Boltzmann erano buoni, pur partendo da un atteggiamento iniziale di forte critica, ... forse proprio per questo.

(da Helge Kragh, Max Planck: the reluctant revolutionary, Physics World, December 2000)
Sono passati 100 anni da quando Max Planck pubblicò l'articolo che diede vita alla meccanica quantistica - o almeno questo si racconta. La storia vera, tuttavia, rivela che Planck non comprese subito le conseguenze del suo lavoro e divenne un rivoluzionario contro la sua volontà.

Secondo la storia che si racconta abitualmente, e che sfortunatamente si trova ancora in molti libri di testo, la meccanica quantistica emerse quando ci si rese conto che la fisica classica prediceva una distribuzione di energia per la radiazione del corpo nero in netto contrasto con le osservazioni sperimentali. La storia continua dicendo che, negli ultimi anni dell'800, il fisico tedesco Wilhelm Wien derivò un'espressione che si accordava ragionevolmente bene ai dati empirici - ma senza alcuna base teorica soddisfacente. Poi, quando Lord Rayleigh e James Jeans analizzarono di nuovo la radiazione di corpo nero dal punto di vista della fisica classica, lo spettro che ne risultò differiva drasticamente sia dalla legge di Wien che dagli esperimenti. Posto di fronte a questa grave anomalia, Max Planck si mise in cerca di una soluzione, e nel fare questo fu forzato ad introdurre la nozione di "quanto d'energia". Con l'ipotesi dei "quanti" si ottenne un perfetto accordo tra teoria ed esperimenti. Voila! La teoria dei quanti nasce così.

Questa storia è un mito, più simile ad una favola che alla verità storica. La meccanica quantistica non deve le sue origini ad alcun fallimento della fisica classica, ma piuttosto al fatto che Planck conosceva profondamente la termodinamica.

 

In conclusione, la riscostruzione iniziale, sintetica e semplificata, non regge ai nuovi indizi. Bisogna allargare lo sguardo attorno al delitto, fiutando nuove piste d'indagine. Ci si guarda attorno e si scruta meglio l'ambiente che fa da cornice all'evento. Chi si muoveva là attorno?