Orbite

Per orientarsi nel sistema solare occorre conoscere la disposizione dei pianeti, come sono le loro orbite e in che modo essi le percorrono. La soluzione del primo problema fu prospettata da Copernico, gli altri due furono risolti da Keplero.

Il sistema copernicano

Nel 1532 il matematico e astronomo Niccolò Copernico avanzò l'idea che fosse il Sole, e non la Terra, ad essere al centro dell'Universo.

Nel sistema copernicano attorno al Sole orbitano, seguendo un moto circolare, sei pianeti: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno. Al di là dei pianeti, a grande distanza, si trova il cielo delle stelle fisse (v. figura sotto).

La Terra perse la sua posizione privilegiata e diventò un pianeta come tutti gli altri.

Le leggi di Keplero

Keplero, adottando il punto di vista copernicano, scoprì alcuni importanti regolarità del moto dei pianeti. Egli aveva a disposizione una quantità enorme di dati sperimentali: erano le osservazioni sulle posizioni dei pianeti che il suo maestro, l'astronomo danese Tycho Brahe, aveva raccolto in un quarto di secolo. Dall'elaborazione di questi dati, Keplero ricavò tre importanti leggi sperimentali.

Prima legge

Ogni pianeta nel suo moto di rivoluzione attorno al Sole descrive un'orbita ellittica, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.

Seconda legge

Il raggio vettore che unisce il centro del Sole al centro di un pianeta spazza sempre aree uguali in tempi uguali.

Conseguenza: Siccome le due aree in figura hanno la stessa misura, gli archi corrispondenti vengono percorsi in uguali intervalli di tempo. Ciò significa che il pianeta si muove più rapidamente quando si trova vicino al perielio e più lentamente quando si trova in prossimità dell'afelio.

Terza legge

Il rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dell'orbita e il quadrato del periodo di rivoluzione è lo stesso per tutti i pianeti.

La grande scoperta di Newton

Newton inquadrò le leggi di Keplero in una visione più ampia, formulando leggi generalizzate che posero le basi della Meccanica celeste, ovvero di quella scienza che studia il moto e le perturbazioni dei corpi celesti.

Egli dimostrò che il moto di tutti i pianeti del sistema solare poteva essere spiegato completamente se si faceva l'ipotesi che il Sole li attraesse secondo la seguente relazione:

.

In questa equazione, che esprime in maniera quantitativa la legge di gravitazione universale, F rappresenta la forza di attrazione reciproca, d è la distanza tra i centri dei due corpi celesti, M e m sono le loro rispettive masse, mentre G è una costante di proporzionalità che prende il nome di costante di gravitazione universale.

In altre parole: i due corpi celesti si attirano in modo direttamente proporzionale alla loro massa e in ragione inversa al quadrato della loro distanza.

Newton pensò inoltre che, se questa forza di attrazione reciproca esiste fra tutti i corpi celesti, non c'è ragione perchè non esista fra due corpi qualsiasi, anche qui sulla Terra. Poichè tuttavia si scoprì in seguito che il valore della costante G è molto piccolo e pari a

,

la forza F ha un valore non trascurabile solo se le masse M e m sono grandi e se la distanza d non è enorme.

Osservazioni

Con la scoperta della gravitazione universale la nuova visione del sistema solare appariva completa. Copernico ne aveva spostato il centro dalla Terra al Sole, ma per spiegare completamente il moto dei pianeti aveva avuto bisogno di meccanismi molto complicati. Keplero, con le sue leggi, aveva delineato il vero sistema del mondo, che teneva perfettamente conto anche di tutte le irregolarità osservate nei moti planetari. Newton trovò perchè le orbite e i moti indicati da Keplero erano quelli e non altri.

La legge della gravitazione non dava solo un profondo senso fisico alle leggi di Keplero. Tutto l'Universo è governato da questa forza, come mostrano la moderna cosmologia e le varie teorie relativistiche che la interpretano e la applicano fino alle conseguenze più estreme: supernove, nane bianche, buchi neri.

Gli elementi orbitali

Le orbite che percorrono i corpi celesti attorno al Sole sono tutte diverse una dall'altra. Questa caratteristica aveva permesso di distinguere facilmente i pianeti tra loro fin dall'antichità. Naturalmente ogni pianeta si poteva e si può riconoscere abbastanza bene dall'aspetto, anche a occhio nudo, ma come fare per tanti altri corpi di aspetto identico che si muovono nel nostro sistema solare?

Il modo più sicuro si basa su certe caratteristiche ben definibili di un'orbita: i cosiddetti elementi orbitali.

Consideriamo un pianeta e, facendo riferimento alla figura sotto, proviamo a definire i suoi elementi orbitali.

Essi sono sei e precisamente:

I sei elementi orbitali individuano univocamente un'orbita:

Newton e le comete

Newton parla delle comete nell'ultima parte del III Libro dei Principia. In esso Newton afferma, dimostra o calcola svariate cose. Vediamo le principali.

Le comete orbitano quindi lungo sezioni coniche (cioè ellissi, parabole o iperboli) in cui uno dei due fuochi (nel caso dell'ellisse o dell'iperbole) o l'unico (nel caso della parabola) è al centro del Sole. Le velocità poi con cui ognuna percorre la propria orbita sono tali che il raggio congiungente il Sole con la cometa descrive aree uguali in tempi uguali, in accordo con la Seconda legge che Keplero aveva trovato per i pianeti.

Cliccando qui sotto potrai avere un'idea più precisa del moto di una cometa.

Osserviamo che le parabole e le iperboli sono curve aperte. Di conseguenza una cometa che percorre un'orbita di uno di questi due tipi passa solo una volta vicino al Sole e alla Terra per poi allontanarsi nello spazio interstellare e non ritornare più. Affinchè una cometa torni periodicamente, deve percorrere un'orbita ellittica, cioè chiusa.

Con questa proposizione Newton espone un metodo geometrico per ricavare il tratto osservabile di un'orbita cometaria una volta date tre diverse osservazioni della cometa. Tale metodo viene detto dell'approssimazione parabolica.

Osservazioni

In prossimità del Sole le orbite dei tre tipi sono pressochè coincidenti. Finchè non ci si allontana a grandi distanze non c'è molta differenza tra un'orbita parabolica e una ellittica ad alta eccentricità e grande asse maggiore. Il calcolo di prima approssimazione può quindi essere effettuato tramite un'orbita parabolica. Da un punto di vista pratico ciò è molto conveniente in quanto le orbite paraboliche sono molto più facili da calcolare.

Abbiamo già visto come un'orbita è ben definita una volta che sono stati individuati i suoi elementi orbitali. Questi sono sei, ma si riducono a cinque nel caso di orbite paraboliche (e = 1). Tre osservazioni sono sufficienti per individuare i rimanenti cinque.